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Appelli nel vuoto di fronte alla politica “social” degli slogan. Necessari una legge sulla non autosufficienza, riaggiornamento e contratto univoco di settore.

Venezia, 30 agosto 2022 - Lo abbiamo spesso ripetuto che il Covid aveva fatto emergere tutte quelle criticità che richiedevano un cambio di passo e che parevano aver smosso opinione pubblica e forze politiche nell’accelerare verso le riforme necessarie al potenziamento della rete di assistenza nel territorio e nella definizione di una Legge sulla non autosufficienza, afferma Ivan Bernini segretario generale della Funzione Pubblica CGIL del Veneto, ma gli appelli e gli inviti al confronto ed alla definizione di una riforma regionale sono rimasti del tutto inevasi nella nostra Regione.

Una Regione che è certamente intervenuta con “ristori” economici alle strutture, indistintamente se pubbliche o private nonostante sulle prime gravino maggiori costi diretti (malattie, gravidanze) e le imposte regionali (Irap) siano il doppio di quelle private. Una Regione che per vent’anni non ha mai fatto la riforma delle Ipab, che dopo il 2020 ha aspettato gli esiti della commissione nazionale – che si è interrotta causa sfiducia al Governo – e che al momento non pare intenzionata a ridefinire una necessaria riforma nonostante a ogni scadenza elettorale ne definisse la priorità depositando – primo firmatario il Presidente della Giunta - apposito progetto di legge.

Risultato? Se il Covid ha rischiato di “annientare” le Rsa, in particolare le Ipab pubbliche, i costi della guerra (quella vera) e i ritardi accumulati sulle infrastrutture energetiche “pulite” determineranno l’impossibilità per molte strutture di continuare ad esistere.

Già era emerso tra il 2020 e il 2021 in tutta la sua drammaticità il problema del personale: l’assenza di infermieri e operatori socio sanitari. Molti degli infermieri in queste strutture non sono già più dipendenti, ma liberi professionisti con tutte le ricadute del caso: difficoltà nel garantire piena copertura dei turni, volatilità nella presenza con non conoscenza dei colleghi, degli ospiti e della struttura, delega ad altre figure professionali (gli OSS) di attività infermieristiche. Problema solo tamponato grazie al “prestito di personale” fatto dalle Ulss, al reclutamento di personale proveniente per ampia parte dall’America Latina, dall’Europa dell’Est e Balcanica.

Mancano gli operatori socio sanitari che anch’essi, quando riescono, partecipano ai concorsi delle Ulss per migliorare la loro retribuzione e che si trovano spesso ad operare sotto standard con carichi di lavoro non sostenibili nel medio periodo.

Cosa servirebbe? Naturalmente una Legge sulla non autosufficienza che garantisse l’individuazione dei livelli di prestazione essenziali e finanziamento certo.

Poi è necessaria una riforma regionale che definisca dal punto di vista giuridico, organizzativo e funzionale il ruolo delle Ipab e delle Rsa nel sistema integrato dei servizi sociosanitari anche in relazione ai possibili sviluppi indicati dal PNRR.

Servirebbe discutere e ragionare anche sulla possibilità di aggregazione delle strutture e relativo riassetto del management e delle cariche in seno ai CdA prevedendo un complessivo riaggiornamento e potenziamento delle attività e funzioni attribuibili alle Ipab in sinergia con Ulss, Comuni e terzo settore definendo, però, cosa debba rimanere in capo direttamente al soggetto pubblico e quali spazi siano invece attribuiti al terzo settore. Consideriamo, ad esempio, che stante l’ambizione indicata anche nei lavori di commissione nazionale sulle caratteristiche che debbano accompagnare lo sviluppo dell’assistenza non ospedaliera nel territorio, non sia ulteriormente rinviabile una discussione che veda centrale formazione, figure professionali e applicazione contrattuale univoca per il personale che elimini “dumping retributivo” e “fuga” verso settori retributivi più alti. È evidente che serve affrontare la questione salariale: ai lavoratori sono ormai richieste competenze, formazione, lavoro e responsabilità molto simili ai colleghi della sanità e come tale vanno riconosciuti professionalmente ed economicamente. Meravigliarsi del fatto che “fuggano” verso le Ulss non riconoscendo che lo fanno per questioni economiche e professionali è ipocrita da parte di chi lo sostiene.

Serve aprire ora e concretamente un tavolo regionale con tutte le parti in causa, e non solo con i rappresentanti datoriali come fatto finora da parte della Regione, è necessario e prioritario se si vuole costruire un percorso che miri non solo a “tamponare una tantum” i tanti problemi ma a trovare soluzioni che vedano parziale risultato da qui a 5 anni. Diversamente, - conclude Bernini - non si versino lacrime di coccodrillo nel momento in cui molte strutture chiuderanno battenti, molti anziani e disabili resteranno a carico delle famiglie tranne coloro che economicamente potranno assicurarsi un posto letto o un’assistenza domiciliare privatamente.